Il libro è una raccolta degli scritti del "Generale", recentemente scomparso. 2Una raccolta di inediti ma anche di scritti già pubblicati- ebbe a ricordare nella conferenza stampa di presentazione in Municipio, Fausto Ronconi, "Priore" 2002 dei "Devoti" di Sant'Agnese- che ci sono stati affidati dalla famiglia Lolli, che ringraziamo assieme a chi materialmente ha curato la stesura insieme a me, cioè Walter Capezzali, Ludovico Nardecchia, Angelo De Nicola, Tommaso Ceddia, Amedeo Esposito e Giuseppe Santoro".
"Mario Lolli aquilano" consta di duecento pagine di componimenti in lingua e in dialetto, di cose note e mai sentite del "Generale". Duecento pagine che non possono essere sintetizzate, tutte invece da scoprire, da gustare, che ti lasciano la nostalgia per una città che fisicamente s'è trasformata e continua a trasformarsi ma che è impregnata e vive dei ricordi di chi, come Mario Lolli, all'Aquila ha dato tanto. Un "uomo d'armi con animo da poeta"; "un malato di aquilanite?"; "un esempio per quanti hanno a cuore la città". Sono tre tra le tante definizioni date di Mario Lolli.
Ha scritto Amedeo Esposito di Mario Lolli:
"Le cose importanti della vita non accadono mai per caso. Bisogna saperle aspettare. Ma una spinta al destino, ogni tanto, è necessario darla". Così Mario Lolli, il "cavalier del popolo aquilano" del ventesimo secolo, soleva "filosoficamente" risolvere (o almeno ci provava) i problemi esistenziali della "sua gente" di via Roma, alle prese con lo "scontro tra le ragioni delle passioni ed i doveri della lealtà". Che poi è la "gente" dell'intera città, per la quale Mario era e rimarrà il "cantore", alla Trilussa più che alla Giusti, della sorniona e mugugnante umanità aquilana, a cui ha dedicato tanti suoi scritti, molti rimasti inediti. Si tratta dell'Aquila del Novecento, descritta in comprensibile vernacolo che tutti "prende" per la sua toccante profondità, temperata poi dal sorriso destato dalla battuta finale. Fu alto ufficiale dell'Esercito (per tutti era "il Generale") e con grandi meriti per la Patria di Carlo Azeglio Ciampi e per la sua città, dove diresse il Distretto militare.
Un uomo d'armi, si potrebbe dire, con l'animo del poeta che "cantava" d'amori della vita di "quiji che non contano" come soleva dire. Ha studiato, letto e scritto poemi, testi teatrali e musicali, assaporando i succhi della poesia che forse non lo hanno fatto sempre completamente felice ma certamente gli hanno reso la vita molto più gustosa. E così, come a volte confessava, tutto sommato gli è riuscito di fare quel che gli andava, senza mai cessare di dedicarsi alla famiglia. Ora che a 85 anni il "novello cavaliere" se ne è andato, in silenzio, la città sente fortemente di essere più povera. Se però non cesserà di ascoltare la sua "serenata aquilana" (musiche di Giorgio Cavalli e Arnaldo Ettorre) avrà sempre la possibilità di "sorridere" al futuro.
Serenata aquilana, dal titolo "Massèra", la cui prima strofa fa così: "Ju ventu che smòe le fronne/ fa la serenata pe' tti;/ affàccete, non te nnasconne/ e famme 'ssa voce sintì./ Masséra è 'na notte fatata,/ ju cantu de 'sta serenata vo' esse 'nu pegnu d'amore,/ che arrìa 'nzinente a ju core."