Pianeta Maldicenza Homepage
Convegno 2005 - Le relazioni

L'ECONOMIA NELLA GLOCALIZZAZIONE

di Rinaldo Tordera
Direttore generale Carispaq

Parlare oggi di sviluppo glocale, vuol dire riferirsi ad un modello di sviluppo che costituisca il superamento dell'idea di uno sviluppo esogeno - imposto dall'alto, incurante delle specifiche soggettività territoriali - per promuovere invece l'idea di uno sviluppo endogeno ed autocentrato, che coniughi la dimensione locale dei territori con la dimensione globale, ricercandone la competitività.

Di questa ipotesi siamo profondamente convinti, per ragioni che derivano non solo dall'analisi economica, ma anche dalla storia più recente. Dopo il decennio l'euforia della globalizzazione degli anni '90, una parte considerevole della società e dell'economia mondiale si trova a dover affrontare nuovi fenomeni, mentre si stanno evidenziando nuovi orientamenti di analisi dei processi di sviluppo, che possono essere sintetizzati nei seguenti punti:
il crescente rilievo attribuito ai fattori non strettamente economici (fattori istituzionali, sociali, demografici, culturali, di psicologia di massa, ecc.) nonchè‚ al tema degli squilibri tra offerta e domanda di beni e servizi che si generano ricorrentemente nei sistemi capitalistici (anche in relazione alla insufficienza dei meccanismi di distribuzione del reddito e della ricchezza che hanno caratterizzato gli ultimi vent'anni di globalizzazione);
la necessità di ampliare i mercati - sia di quelli maturi, sia di quelli in via di sviluppo - attraverso una vasta gamma di strumenti di redistribuzione del potere d'acquisto (rilancio dei consumi privati ma anche del consumo di beni collettivi - nel welfare, nell'offerta di education e di cultura, in campo sanitario, nella sicurezza, nell'ambiente, ecc. -);
la necessità di un forte impegno della politica nella costruzione di nuove forme di statualità globali, ma anche territoriali e funzionali (Regioni, Laender; città internazionali e aree metropolitane) che, per gli effetti dei processi di decentramento (devolution), dovranno incominciare ad esercitare un rilevante ruolo di indirizzo decisionale nei processi economico-sociali interni ed internazionali;
il rafforzamento, attraverso la rivoluzione nelle telecomunicazioni e nei trasporti, del ruolo e della capacità di azione di numerosi "enti funzionali" (università, centri di ricerca, authorities, Camere di Commercio, enti fieristici, porti, aeroporti, ecc.), insieme all'articolato mondo delle associazioni che rappresentano interessi economici (imprese, sistemi locali di imprese, distretti, sindacati, ecc.). Questi soggetti territoriali e funzionali sono chiamati sempre di più ad interagire con il crescente numero delle imprese transnazionali (TNC), grandi imprese e anche piccole e medie imprese, verso le quali, con la riduzione del peso degli Stati nazionali negli ultimi vent'anni, si è spostato il potere.

In questo quadro, la globalizzazione ha visto emergere con forza, soprattutto negli ultimi anni, il fenomeno del glocalismo. I "luoghi" (entità nazionali e sub-nazionali di varia configurazione e natura), infatti, hanno cominciato a interagire in misura sempre più diffusa e significativa con i "flussi" (di capitali, di merci, di persone, di valori culturali) che li attraversavano, determinati dagli attori globali. I luoghi hanno anche cominciato in misura crescente a dialogare fra loro, a costruire reti e a stabilire alleanze "orizzontali".

Attraverso le relazioni e gli accordi, sempre più densi e articolati, fra i diversi soggetti locali si è avviato un processo che potremmo definire di "globalizzazione orizzontale", che è un aspetto essenziale del glocalismo.

Il rapporto di interazione fra flussi globali e luoghi, nei fatti, si è manifestato nel corso degli ultimi decenni in tre diverse fondamentali forme:
della prevalenza esclusiva dei flussi globali, che hanno attraversato i luoghi e li hanno spesso destrutturati piegandoli ai loro interessi e alle loro strategie: (ad esempio, imprese multinazionali che si sono insediate in luoghi in via di sviluppo ignorando del tutto le esigenze locali);
del localismo difensivo: i luoghi hanno tentato di sfuggire ai flussi globali, si sono chiusi nei propri confini, si sono illusi di poter fare da soli mentre il processo di globalizzazione investiva e trasformava invece l'intero pianeta, ottenendo come risultato, l'assenza dello sviluppo, della modernizzazione, l'impossibilita di cogliere le opportunità della rivoluzione scientifica e tecnologica che sta alla base della globalizzazione;
del glocalismo, che è caratterizzato dall'incontro e dal dialogo negoziale fra gli attori globali e gli attori locali e dal dialogo di questi ultimi fra loro, nella prospettiva della costruzione di una maggiore forza negoziale comune.

L'approccio glocale è caratterizzato dalla convergenza degli attori locali e globali su interessi e progetti comuni. Questa convergenza, mai "naturale", richiede la compresenza di due condizioni:
la presenza di un tessuto locale sufficientemente ricco e articolato per poter esprimere e negoziare le proprie ragioni e i propri interessi, costituito da una pluralità di soggetti (comunità locali, istituzioni territoriali, associazioni di imprese e professionali, università e le istituzioni di ricerca e di formazione, Camere di Commercio ecc), che devono non solo esistere, ma fare rete fra loro e avere volontà e capacità negoziali;
la presenza negli attori globali di una cultura della complessità ed una visione dei propri interessi che li rendano consapevoli del fatto che lo sviluppo e il benessere dei luoghi, nel medio e lungo periodo, sono la condizione stessa anche del proprio sviluppo e della profittabilità del proprio business.

L'approccio glocale sembra avere in misura crescente - soprattutto dopo le Due Torri, il crollo della new economy, la crisi dei mercati finanziari internazionali, la tragedia dell'Argentina, l'emergere di gravi rischi di recessione mondiale, la prospettiva di nuovi conflitti militari potenzialmente destabilizzanti - un riconoscimento globale.

Tuttavia esso, al di là delle sue più recenti fortune, ha già in realtà una storia significativa alle spalle, che ha dimostrato come il glocalismo possedesse maggiori vantaggi competitivi rispetto ad altri modelli di globalizzazione. Tra essi possono essere ricordati:
il vantaggio di essere funzionale alla ristrutturazione istituzionale, che sta in gran parte modificando le funzioni degli Stati nazionali; sempre più numerosi sono gli enti territoriali (città, regioni, ecc.) e gli enti funzionali che stanno interconnettendosi e cooperando all'interno di nodi territoriali collegati tra di loro attraverso le reti lunghe dell'ICT (lnformation Communication Technology);
il vantaggio, grazie allo sviluppo dell’ICT, di essere funzionale alla tendenza attuale alla suddivisione delle fasi produttive e alla loro riorganizzazione su basi transnazionali, con una ricerca continua di luoghi (città, regioni, paesi) ove trovare le più competitive condizioni di produzione;
il maggiore impulso dato ai loci (le città, i sistemi economici locali, le regioni) affinché incentivino gli investimenti nella produzione di ricerca, di conoscenza e di nuove tecnologie, incoraggino la localizzazione dei produttori di beni e servizi, e facilitino la riproduzione e l'afflusso di manodopera qualificata. A questo fine, l'approccio glocale fornisce potenti stimoli all'apertura e al rafforzamento di reti, di contatti e di collaborazioni tra centri di eccellenza mondiali, ma anche - nell'ambito della cooperazione decentrata - tra città, regioni, università, centri di ricerca, ecc.;
l'impulso dato alle concertazioni ad alto livello fra i principali attori locali, al fine di creare condizioni di forti capacità funzionali ed il potere negoziale necessario per concludere accordi vantaggiosi con i grandi attori globali, in particolare con le transnazionali. In molti casi, questi processi di glocal governance includono, nel decision making, anche i rappresentanti degli interessi economici e delle comunità locali, espandendo, quindi, anche i legami di solidarietà e la partecipazione dal basso (democrazia partecipativa).

In questo emergere dell'approccio glocale sulla scena mondiale, l'esperienza europea ha sicuramente giocato un ruolo importante. L'Europa - anzitutto i paesi dell'Unione Europea è portatrice infatti di un modello di società e di un'esperienza storica (l'esperienza di collaborazione e di integrazione del secondo dopoguerra) che forniscono esempi molto utili a chi affronta oggi i problemi dello sviluppo in un contesto di globalizzazione e che possiamo sintetizzare:
a) nella presenza e lo sviluppo in Europa, per la specificità della sua storia, di un denso tessuto di corpi sociali intermedi, istituzioni territoriali e funzionali, framework normativi e regolativi. La storia europea, prima ancora che storia di Stati nazionali, è infatti storia di città, di principati regionali, di comunità locali;
b) nella presenza e lo sviluppo, in Europa, di un grande processo di integrazione economica e politica, quello che ha portato all'Unione Europea e alla moneta unica.

L'integrazione comunitaria, ben oltre la liberalizzazione commerciale e l'unione doganale, ha contribuito in modo decisivo ai processi di capacitation e di empowerment dei luoghi di fronte alle nuove opportunità e sfide proposte dalla globalizzazione. La sostenibilità - per i diversi luoghi (aree nazionali, regioni, comunità locali) - delle politiche macroeconomiche e strutturali e delle policies finalizzate alla integrazione continentale è stata nei fatti finora la strategia vincente dei paesi europei.

Nella prospettiva di un approccio glocale, vi è poi da sottolineare come le istituzioni e le politiche comunitarie abbiano facilitato la creazione di molte partnership e reti (a livello nazionale ed anche transnazionale) fra Regioni ed enti funzionali, fra soggetti pubblici e privati, fra soggetti del mondo associativo, fra enti di formazione e di ricerca, fra agenzie di servizio che sono nate grazie alle politiche dell'Unione Europea.
Il ruolo che l'Unione Europea ha svolto e svolge nel contribuire ad "attrezzare" e rafforzare i luoghi può essere più precisamente delineato attraverso alcuni esempi, fra i molti possibili:
i Patti territoriali per l'occupazione, lanciati dalla Comunità europea nel 1996, nel quadro della strategia comunitaria per creare occupazione e favorire Io sviluppo locale. Questi patti si fondano su tre fondamentali principi;
i Progetti integrati territoriali (Pit) nati come modalità di attuazione dei Programmi operativi delle Regioni finanziati con risorse locali, nazionali e dell'Unione Europea nell'ambito delle politiche comunitarie finalizzate a promuovere lo sviluppo e l'adeguamento strutturale delle aree regionali in ritardo di sviluppo (nel linguaggio comunitario, le aree Obiettivo 1 dei Fondi strutturali europei). Va osservato che, come i Patti territoriali per l'occupazione di cui si è parlato in precedenza, anche i Progetti integrati territoriali promuovono, attraverso l'indicazione di metodologie e percorsi in qualche misura standardizzati e comuni, grandi processi di socializzazione e di apprendimento a vantaggio degli attori locali;
i Programmi comunitari di ricerca e sviluppo, finalizzati alla creazione di uno spazio europeo della ricerca, cioè allo sviluppo di programmi comuni fra i diversi paesi che consentano la nascita di un vero proprio mercato comune europeo della ricerca e dell'innovazione, analogamente a quanto è stato fatto per le merci e i capitali. Anche in questo caso, l'iniziativa comunitaria svolge una funzione di "animazione" sociale e territoriale capace di coinvolgere - nell'orizzonte di progetti local to local pensati nel contesto globale della ricerca - una vasta pluralità di soggetti di diverse appartenenze nazionali.

Più in specifico, nel caso dell'Italia, appare significativo - nella prospettiva di un approccio glocale alle sfide e alle opportunità della globalizzazione - il caso dei distretti industriali.

Questi sistemi produttivi locali caratterizzati da una elevata concentrazione di imprese industriali ed anche terziarie di piccole e medie dimensioni e da un'elevata specializzazione produttiva, hanno conseguito negli ultimi decenni significativi successi sia sul mercato nazionale ed europeo, sia sui mercati globali.

Nei distretti, più recentemente, proprio sotto la pressione del processo di globalizzazione, gli attori locali hanno cominciato a lanciare in misura crescente "reti lunghe" in un orizzonte globale (attraverso delocalizzazioni, joint venture commerciali, tecnologiche e produttive ecc.) determinando tensioni e in qualche caso anche fratture nella coesione interna degli stessi sistemi distrettuali.

La loro esperienza ormai "storica" testimonia come sia possibile uscire dall'arretratezza (significativo il caso del Nord-Est e del Veneto in Italia) grazie ad un insieme congiunto di fattori: il tessuto sociale e le tradizioni artigianali; l'attivismo degli imprenditori; l'occasione offerta dall'apertura dei mercati (con la liberalizzazione e l'integrazione europea).

Va osservato, a proposito di queste esperienze italiane di sistemi locali di impresa, che i distretti non sono stati e non sono soltanto "figli del mercato" ma anche, in qualche misura, attraverso la legislazione nazionale e regionale e le politiche e risorse pubbliche connesse, "figli dell'intervento pubblico". In particolare sono le Regioni, negli ultimi anni, ad aver individuato nei propri territori di riferimento le aree distrettuali. E sono le Regioni, attraverso il processo di decentramento e più recentemente la devoluzione di poteri da parte dello Stato centrale, ad avere oggi gli strumenti e le risorse per I attuazione delle politiche industriali a favore dei distretti. Nelle politiche per le imprese, in concreto, ci sono formazione, servizi alle imprese, risorse per la ricerca e sviluppo, sostegni pubblici al processo di internazionalizzazione dei sistemi produttivi.

Questo sistema di empowerment dei governi locali, ha comportato che i governi regionali e quelli municipali sviluppassero un sistema di governance che andasse al di là del ruolo tradizionale di fornitore di servizi. A livello di city e di regione, ai precedenti monopoli in diverse aree funzionali sono subentrate forme di partenariati, di realizzazione congiunta di infrastrutture (soft e hard). I governi locali hanno sviluppato strumenti contrattuali con organismi pubblici e privati, con associazioni no profit, con le associazioni delle imprese, con università, con organismi finanziari, con associazioni di cittadini, al fine di creare progetti di sviluppo e servizi politicamente accettabili e sostenibili sul piano finanziario.

In taluni casi di successo, questo nuovo modo di governare ha comportato la creazione di condizioni quadro favorevoli per integrare i sistemi territoriali nel mercato globale. In particolare è stato reso possibile sviluppare tre elementi cruciali per garantire l'emergere e/o il consolidarsi di una "competitività costruttiva" dei sistemi locali. Vale a dire:
a) il mantenimento o l'ampliamento di risorse locali specifiche;
b) l'attivazione di processi di apprendimento;
c) il mantenimento e il miglioramento dell'accessibilità ai differenti mercati, network e risorse mobili.

E la Lombardia e Milano, l'Emilia Romagna e Bologna possono essere considerati in Italia esempi di successo tra le regioni e le città che in questo periodo, in un approccio di local governance, stanno rafforzando le reti orizzontali di cooperazioni locali tra enti territoriali e enti funzionali che sfruttano le reti lunghe globali dei diversi enti per promuovere la glocalizzazione dei rispettivi territori, spesso utilizzando agenzie specializzate in funzioni di marketing territoriale.

La nostra analisi giunge alla conclusione che è necessario attivare una potente forza propulsiva di cambiamento promuovendo la collaborazione in rete di soggetti pubblici e privati e a livelli diversi quanto a ambiti di influenza (multilaterali, internazionali, transnazionali, nazionali e regionale/urbani). In effetti, la prospettiva che emerge dalle considerazioni fin qui esposte è quella della convergenza degli interessi e delle politiche fra gli attori globali e quelli locali, I primi devono riconoscere le specificità e gli interessi dei luoghi, la complessità delle situazioni, l'inadeguatezza di "ricette uniche" imposte dall'alto. I secondi non devono chiudersi e non devono avere paura dei flussi della globalizzazione, devono anzi coglierne le opportunità. Per fare questo i luoghi devono anche collegarsi fra loro, realizzare forme di globalizzazione orizzontale e "dal basso", agire secondo una metodologia local to local, tanto al livello infranazionale, quanto a quello transnazionale.

L'incontro del locale e del globale deve essere infatti sottratto ai puri rapporti di forza e, in questo incontro, la politica, nelle sue varie forme e nei suoi diversi livelli, deve giocare il ruolo che le compete: quello della sintesi degli interessi, della costruzione di quadri regolativi comuni, della ricerca della coesione sociale e territoriale, della garanzia della sostenibilità umana e ambientale dei processi economici, tutti elementi vanno considerati "valori" in senso anche economico, e le risorse impiegate per garantirli investimenti e non soltanto costi.

La glocal governance è un'architettura, una scelta di valori e, nello stesso tempo, un percorso di realizzazione nel quale gli attori, tanto locali quanto globali, costruiscono insieme processi e decisioni comuni, secondo la logica del giocale e secondo i valori sia della concorrenza che della coesione.

Rinaldo Tordera