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Convegno 2004 - Le relazioni

ETICA CRISTIANA E MALDICENZA

di Padre Francesco Compagnoni
Rettore Pontificia Università S. Tommaso - Roma

Abbiamo ascoltato un' introduzione molto dotta, con molte citazioni filosofiche. Spero, da teologo, di essere allo stesso livello e di non farvi addormentare. In ogni convegno, infatti, la mia relazione è quella che più tende ad addormentare la gente. Cominciamo col dire che la maldicenza è un fenomeno universale. Non c'è soltanto all'Aquila o a Roma, dove io vivo. E neanche solo in Italia, e neanche solo nel nostro secolo.

Tanto che ho trovato un bellissimo proverbio filippino che dice: "Se punti il dito contro qualcuno, le altre tre dita della tua mano le punti contro di te". Trovo che è molto bello. Se guardiamo alle nostre tradizioni popolari, possiamo trovare, ad esempio, una bella e brevissima poesia in dialetto anconetano che dice: "La maldicenza è amica dell'invidia. Te parli male e cerchi de truvà un sacco de difetti a chi ce n'ha un po' meno di te". Un'altra, di un poeta toscano di Poggibonsi, comincia così: "Sul fianco della piazza, all'arco in fronte che in San Gregorio ha cinque cannelle, coi gettiti formavano una fonte, ch'era sempre attorniata di gonnelle del vicinato a maldicenze pronte, nel mentre che si empiano le mezzinelle". Qui abbiamo un aspetto molto importante della maldicenza, o della storia della maldicenza. Purtroppo si dice che le donne sono maldicenti. Trovo che questo non è vero. E neanche giusto.

I nostri antenati culturali, greci e romani, avevano la maldicenza in alta considerazione. Tanto, che le hanno dato un protettore. Allora non c'era S. Agnese, chè l'hanno ammazzata molto tempo dopo. Il protettore mitologico si chiamava Momo. Momo era comunemente raffigurato con una maschera in una mano e, nell'altra, un bastone cui erano attaccati dei sonagli. Appariva nell'atto di giudicare una marmotta, simbolo della follia. Si narra, tra l'altro, che suggerì a Zeus di provocare la guerra di Troia facendo nascere Elena, col fine di eliminare la sovrappopolazione. Vi pensavano già allora. Momo criticò tanti dei, infine, da essere cacciato fuori del paradiso dell'epoca.

Pur considerando che non sono molte, in realtà, le opere pittoriche che riproducono la maldicenza, purtroppo trattasi sempre di donne. Forse a causa del genere femminile del termine.
Se adesso vogliamo parlare brevemente, tre minuti e non più, di etica cristiana (che in qualche maniera tutti noi conosciamo), è utile ricordare che la maldicenza non è la calunnia. Sono due cose molto diverse. E' maldicenza quella di colui che, per un motivo oggettivamente valido o meno (cioè senza motivo serio), rivela i difetti e le mancanze altrui a persone che le ignorano. Si ha calunnia, invece, allorchè viene lesa la reputazione di un altro, dicendo cose non vere e sapendo che non sono vere.

Prima della maldicenza e della calunnia, però, viene qualcosa di fortemente interiore. Cioè il cosiddetto giudizio temerario. Prima di dirle, noi le pensiamo le cose. Almeno, normalmente è così. Si dice anche che alcuni di noi parlano prima di pensare. Ma il dottor Ceddia, che è medico, ci ha spiegato molto bene che prima comincia a funzionare il cervello e poi i muscoli facciali. Il giudizio temerario, quindi, si ha quando noi tacitamente ammettiamo come vera, senza sufficiente fondamento, una colpa morale del prossimo.

Se guardiamo con attenzione i nostri testi sacri, troviamo che il libro della sapienza dell'antico testamento ci dice al capitolo primo, proprio all'inizio: "Guardatevi pertanto da un vano mormorare, preservate la lingua dalla maldicenza, perché mai una parola, anche se segreta, sarà senza effetto. Una bocca menzognera uccide l'anima". E' un po' triste ma è anche vero.

Se poi guardiamo nel nuovo testamento, diciamo subito che è meglio che i devoti di S. Agnese aquilana non lo leggano, perché purtroppo si parla molto di maldicenze. E se ne parla in modo non benevolo. Ad esempio San Paolo nella lettera agli Efesini, scrivendo quindi agli aquilani dell'epoca, dice: "E non vogliate rattristare lo spirito santo di Dio, col quale foste segnati per il giorno della redenzione. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno o ira, clamore o maldicenza con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato voi".

Finita la lezione di dottrina, dal punto di vista dell'etica e dell'antropologia cristiana non c'è proprio nulla di positivo nella maldicenza? Allora, se non c'è nulla di positivo, perché la fanno tutti e non soltanto quelli cattivi cattivi? Io direi, e possiamo dirlo immediatamente, che la maldicenza è un aspetto dell'aggressività sociale. Noi siamo sempre animali ragionevoli. Ma siamo sempre animali di gruppo e, come vediamo spesso in televisione, gli animali di gruppo hanno continuamente combattimenti per stabilire il primato sugli altri. Si chiama gerarchia sociale.

Noi, che siamo civili, difficilmente ci picchiamo per stabilire questo. Noi parliamo, parliamo, parliamo. E quindi aggrediamo, aggrediamo, aggrediamo. Però l'aggressione sociale, come spiegano gli etologi, che sono i biologi che studiano i comportamenti degli animali sociali, serve a stabilire le gerarchie. E quindi a mettere ciascuno al suo posto. E l'ordine sociale è molto importante. Perché l'anarchia e la disorganizzazione sono sempre negative, in ogni società.

Nella lingua tedesca esiste un termine per esprimere il piacere che viene dal parlar male degli altri, cioè il piacere che si prova quando agli altri vanno male le cose. Noi italiani, che siamo sempre moderati, non abbiamo una parola per dire questo. Ciò che di positivo secondo me ha la maldicenza, è che, in fondo, è un giudizio critico sulla realtà che ci circonda. Noi siamo un po' come dei robot, che hanno bisogno continuamente di sapere dove sono. E quindi il dare giudizi positivi come onorare e lodare, o negativi come le maldicenze, è un modo di collocarci nella società e nei rapporti verso gli altri. E' anche segno di volontà di progresso.

Perché quando uno dice: "Ma guarda che brutta cravatta ha quello", si vuol dire che quella cravatta, su un vestito grigio, non dovrebbe essere verde. E ciò indica che si ha un senso estetico migliore dell'altro. La maldicenza può anche esprimere il senso della decenza. Ad esempio, quando si dice: "Bè, la minigonna quella farebbe meglio a non portarla". Oppure di giustizia: "Quello, con tutti i soldi che ha fatto sottobanco, viene ancora a dare dei giudizi". Quindi, io direi che la maldicenza fa parte della necessità che noi abbiamo di essere inseriti in un gruppo. E la critica è un segno di appartenenza al gruppo. E' un segno che gli altri ci interessano.

Quando si dice che un matrimonio non funziona più, cosa si dice? Si dice che quei due non hanno più nulla da dirsi né in bene né in male. Mentre, quando si litiga, può andare anche a finir male… ma è un segno che l'altra persona interessa ancora. E così penso che si possa dire della maldicenza. Anzi, potremmo dire che il valorizzare o svalutare gli altri è un principio vitale fondamentale, perché quando uno si ritira dalla vita sociale, di solito non dà più giudizi. Diciamo, non so, che gli è successo qualcosa. Invecchiando, almeno a me succede così, si danno sempre meno giudizi.

Per concludere, dobbiamo vedere gli aspetti negativi della maldicenza solo in una cosa… quando essa genera sofferenza, seria sofferenza. Se mi si dice che ho la cravatta verde, quella non è sofferenza. Ma quando la maldicenza genera negli altri sofferenza, penso che dovremmo ritirarci dall'essere maldicenti.

Nella vita sociale, e questo ce l'ha insegnato Gesù con una regola d'oro, vale sempre il principio della reciprocità. Cioè noi dobbiamo fare agli altri quello che vorremmo che gli altri facessero a noi. E concludiamo, sperando di non aver troppo annoiato e di non aver preso troppi minuti alla nostra antropologa, con un proverbio arabo che recita: "Benedetto chi dice una cosa gentile di un altro, tre volte benedetto chi la riferisce".

Francesco Compagnoni